6.11.10

Entrevista a Mons. Nicola Bux, liturgista

A propósito da publicação do seu último livro: Come andare a Messa e non perdere la fede, das edicões Piemme.

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Da pochi giorni è in libreria il nuovo libro di Mons. Nicola Bux: Come andare a Messa e non perdere la fede, edizioni Piemme. Bux espone in queste pagine la Messa, massimo atto del culto cattolico, nelle due forme del rito romano, a paragone con la liturgia orientale; ne descrive la teologia e la spiritualità, con conoscenza, esperienza e vero senso pastorale.

A partire dalla riforma conciliare e post-conciliare, addita le “deformazioni al limite del sopportabile” e le resistenze prodottesi, replicando alle critiche di tradimento del Concilio e ignoranza della liturgia rivolte a Benedetto XVI e ai suoi collaboratori, per aver posto mano alla “riforma della riforma”. E’ un vademecum per muoversi nel bazar delle Messe odierne senza perdere la fede.

Monsignore, questo secondo libro è ancora più esplicito del primo “La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione”. Cos’è cambiato da allora?

Anche in questo tempo di scandali, il Papa insiste sul fatto che il male viene da dentro la Chiesa. Perciò continua ad essere il tempo di quella grave crisi che il Cardinal Ratzinger indicava imputabile in gran parte al crollo della liturgia, a quel fai-da-te che non la rende più “sacra” e che farebbe perdere la fede a chiunque. Non è cambiato molto: “liturgicamente, ai nostri giorni la Chiesa è un grande malato” perchè la liturgia avrebbe perso il suo senso, sarebbe senza regole, dimentica del diritto di Dio.

Il diritto di Dio… Lei, infatti, in tutto questo propone come perno della nuova riforma liturgica la riscoperta un concetto potente ed affascinante, lo ius divinum. Cioè?

Il concetto è molto semplice. il Cardinal Ratzinger dice nell‘Introduzione allo spirito della liturgia, nel primo capitolo, che la liturgia non c’è se Dio non si mostra, cioè in parole povere, se Egli non rivela il Suo Volto. Anzi nel Gesù di Nazareth ad un certo punto egli dice che la liturgia è la continuazione della Rivelazione, quindi se Dio si mostra, indica chi è e che faccia ha, dice anche come vuole essere adorato, come vuole che Gli si renda culto.

L’antitesi è la celebre storia del vitello d’oro, cioè dell’uomo che si inventa lui Dio e si inventa lui la liturgia: una danza vuota intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi. Dio ha un diritto nell’Antico Testamento, quando disse come doveva essere celebrata la Pasqua, e perlò di prescrizioni e comandamenti. Così è nel Nuovo. In parole povere: la liturgia è indisponibile.

La liturgia è indisponibile all’uomo ma l’arte è opera dell’uomo. Per l’arte sacra, che conosce un periodo di decadenza strutturale estremamente simile, cosa si può dire?

L’arte è la stessa cosa! La rappresentazione, la raffigurazione di Dio per la Chiesa d’Oriente come per la Chiesa d’Occidente è sempre stata sottoposta a dei canoni. Lo stesso vale per la disciplina della musica sacra. Il principio è sempre il medesimo: non siamo noi che decidiamo in base al prurito che abbiamo addosso come devo dipingere il Signore o come devo comporre un canto o quale canto devo fare nella liturgia. I canoni la Chiesa li ha stabiliti perchè potessero essere consoni al culto divino; perché non fosse data di Dio un’immagine, un’idea distorta e deformata. Tra liturgia, arte e musica c’è un’unità profonda che non permette di affrontarle separatamente.

Il Santo Padre l’ha appena nominata anche Consultore per il Culto Divino, segno dell’attenzione e della competenza del suo lavoro. Ci dica: se tre anni fa il Summorum Pontificum ha rivoluzionato la “questione liturgica”, riportando sul piatto della discussione gli elementi “scomodi” ed essenziali come la liturgia gregoriana, cosa dobbiamo aspettarci, nel prossimo futuro, da questo nuovo movimento liturgico che sta nascendo?

Innanzitutto, parlare di nuovo movimento non vuol dire necessariamente parlare di un altro movimento rispetto a quello conosciuto con un certo frutto nel XX secolo. La Chiesa è semper reformanda: a chi non piace il termine riforma della riforma parli pure di ripresa del movimento liturgico, ma sappia che si tratta sempre “del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato” come dice Benedetto XVI. Con il Motu Proprio le basi del lavoro sono state poste: confidiamo presto di avere dei nuovi impulsi. Questo Papa, mite e risoluto, vuole andare avanti e noi siamo con lui. Con la stessa mitezza e con la stessa fermezza.

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